Il M° Tatsuo Suzuki, un mito del Wado-ryu

di Antonio Sartini – (13-09-2009)

Tra i vari maestri giapponesi dello stile wado-ryu con cui mi sono allenato quello che per età, competenza, operato, ma, soprattutto carisma, mi ha affascinato di più, è sicuramente il sensei Tatsuo Suzuki. La sua tecnica essenziale, efficace e visibilmente carica d’esperienza sono parte di una personalità forte e profonda come i suoi pensieri e la sua vita.

Non potrò mai dimenticare quando, durante uno stage estivo circa venti anni fa, mentre ci allenavamo in coppia, Maurizio ed io, il maestro Suzuki si è avvicinato per mostrarci la tecnica che stavamo eseguendo. Un uomo la cui energia (ki) riesci a sentire prima ancora di essergli vicino, uno sguardo profondo che indica padronanza di corpo e mente, una tecnica all’unisono con il corpo.

Personalmente lo ritengo un grande maestro di arti marziali perché non si è mai fermato alla tecnica, il suo cammino è andato oltre, ha percorso la via come i grandi samurai del passato coltivando la mente tanto quanto il corpo.

Nel mio scritto “ Che cos’è il karate-do” ho tradotto e commentato un paragrafo del suo primo libro dove dava la definizione di karate che rimane, a mio parere, la più bella e profonda che io abbia mai letto.

Continuo perciò a rendere omaggio a questo grande maestro traducendo, nel limite delle mie capacità, due paragrafi di due diversi libri non reperibili in lingua italiana che in ogni caso consiglio agli appassionati di tutto ciò che va oltre la tecnica, senza dimenticarla ovviamente !

In questo senso auguro a tutti, me compreso, di diventare come l’arciere che scaglia la freccia non guardando il bersaglio a forma di pesce ma mirandone l’occhio. Una volta che l’arciere diventa tutto uno con il bersaglio, dimenticherà anche arco e freccia, perché è diventato tutto uno con l’universo.

Ricordare con il corpo

La ricerca di Tatsuo Suzuki della tecnica pura.

di Michael Clarke

Ancora oggi, con tante persone in giro per il mondo che si proclamano “Maestri”, ce ne sono ancora relativamente poche che possono veramente vantare tale titolo. Un uomo che può farlo è il Sensei Tatsuo Suzuki, ottavo dan, di Wado Ryu Karate-do.

Nato a Yokohama, in Giappone, nel 1928.

Dapprima incominciò ad interessarsi alle arti marziali da ragazzo, quando il paese era intriso di fervore militare. Nel 1942 iniziò il suo allenamento al Karate sotto la direzione del fratello di un amico. Questo avveniva in un piccolo cortile nella città di Hamamatsu dove stava vivendo in quel tempo. Il ragazzo più anziano era uno studente universitario di Tokyo che tornava ogni fine settimana. Fu durante queste visite che il giovane Tatsuo ed il suo amico si esercitarono nelle tecniche di combattimento di questa “strana “ arte marziale.

Sensei Suzuki crede che quello che gli fu insegnato sia wado-ryu, anche se oggi non ne è del tutto sicuro. Egli ammette in ogni modo che nella maggior parte del tempo il loro istruttore li faceva più che altro combattere. La memoria rimasta più impressa di quegli allenamenti riguarda la grossolanità del combattimento. Nessuno dei due ragazzi conosceva molto in riguardo al controllo e la difesa e, perciò, ogni sessione finiva con entrambi ricoperti da tagli e contusioni.

Sono stato incuriosito dal fatto che non ha iniziato il suo Karate in maniera formale, in un dojo, e gli ho chiesto come e quando è entrato in un dojo per la prima volta.

“Mi sono allenato con il mio amico a Hamamatsu per circa due anni e poi sono tornato a Yokohama dove ero nato. Poco dopo che avevo iniziato a cercare per un dojo di karate, alla YMCA vidi un avviso che pubblicizzava delle lezioni di karate. Questo è quando e dove iniziai il mio allenamento formale.”

L’allenamento iniziale di Sensei Suzuki fu un successo perché nell’intervallo relativamente corto di sei anni raggiunse la cintura nera terzo dan. A quel tempo nel Wado ryu era stato assegnato al massimo il 5° dan pertanto, Suzuki Sensei, pensava di aver raggiunto un grado molto elevato. Io volevo sapere com’erano inizialmente gli esami di dan e quanto potessero essere comparati con gli avanzamenti di grado degli studenti di karate dei giorni moderni. Egli disse:

“Non posso davvero ricordare molto di tutto ciò che riguarda i miei primi esami. Proprio come ora, in quei giorni io non ero interessato ai gradi o agli esami. Tutto quello che volevo fare era allenarmi! Poi un giorno mi ritrovai nel dojo che indossavo una cintura nera. Dopo un certo tempo mi fu semplicemente detto che ero secondo dan e lo stesso avvenne per il terzo. Il test d’esame deve essere stato mimetizzato nella normale seduta d’allenamento e non ricordo quello che dissi. So che quando entrai all’università ero già terzo dan. Ciò che ricordo bene è l’esame per quinto dan. Di fatto io pensavo che stessi sostenendo un esame per quarto dan, ma fu per quinto dan.  In quei giorni c’era l’usanza che gli allievi anziani erano promossi prima di quelli più giovani altrimenti si raggiungeva il livello dei più anziani e questo, in Giappone, a quel tempo, era inaccettabile. Mi sembrava che il terzo dan fosse giusto per me, che io fossi elevato a sufficienza, ma alcune persone dell’università vennero a trovarmi e mi chiesero di fare l’esame cosicché anche loro potessero fare quello per cui erano pronti.

In Giappone, a quel tempo, se avessi saputo che qualcuno era migliore di te, non ti saresti presentato agli esami per un livello più elevato del suo. Tutte queste persone sapevano che io ero migliore di loro e pertanto non potevano presentarsi salvo che io prendessi parte al mio d’esame. Ognuno stava letteralmente solo aspettando me per affrontare quello da quarto dan. Così ho deciso che avrei partecipato, prima di laurearmi all’università”.

“ Il mio esame l’ho sostenuto con il Sensei Ohtsuka ( il fondatore del Wado-ryu karate-do). Dopo che ho passato l’esame, mi ha riconosciuto il quinto dan. Io sono stato, onestamente, molto sorpreso e ho pensato che ci dovesse essere qualche errore. Se fosse stato vero ciò significava che avevo saltato il quarto dan. Sono andato da Ohtsuka ed ho chiesto se il grado conferito fosse corretto. Sostenevo che fosse troppo e gli ho chiesto se per favore mi poteva riconoscere solo il quarto dan. Egli si è rifiutato di farlo e mi ha assicurato che anche gli altri anziani della commissione d’esame pensavano che io meritassi un quinto dan.

Per questo motivo posso ricordare quell’esame a causa della particolare circostanza”

Io sapevo, dalla ricerca che avevo fatto prima dell’incontro con Sensei Suzuki, che egli aveva dei dan sia nel judo che nel bojutsu (combattimento con il bastone). Ero curioso di sapere com’è arrivato a studiare queste altre arti. La sua introduzione al bojutsu è avvenuta perché “ Dopo la seconda guerra mondiale noi abbiamo dovuto lasciare il palazzo della stazione di polizia che ospitava il nostro dojo. Nel periodo in cui mi allenavo là c’era il Sensei Ohtsuka ancora abbastanza giovane da fare parecchio allenamento insieme con noi. Passavamo tante ore nel combattimento quanto ne dedicavamo ai nostri kata e alle combinazioni d’allenamento”.

“ Ohtsuka sensei faceva tutto questo con noi, a quell’epoca, e l’allenamento era molto duro. Fu un buon periodo per essere nel Dojo centrale perché molti vecchi studenti stavano tornando dalla guerra. Allo stesso modo avevamo sempre visite da parte degli studenti anziani d’alcuni dojo delle università. Venivano ad allenarsi con noi molto spesso. C’era stato detto di lasciare la costruzione e così dovevamo trovare un nuovo posto. Un giorno Sensei Ohtsuka venne da noi e ci disse di averne trovato uno”.

“Uno dei suoi amici, un certo sig. Ueno, anche lui un artista marziale, aveva un dojo di sua proprietà. Era molto piccolo ma poiché non eravamo riusciti a trovare altro, data la scelta limitata, accettammo con gratitudine. Ci allenammo la per un anno circa. Sensei Ueno era solito insegnare Bojutsu come pure altre arti marziali. Un giorno mi propose di insegnare karate nel suo dojo ed in cambio mi avrebbe insegnato l’arte del bojutsu. Alla fine studiai altre arti marziali con lui, anche lo shuriken (lancio del coltello o di punte acuminate). Affermò che proprio come stavo praticando karate anche le altre arti, come il bojutsu, non sarebbero state particolarmente difficili per me, poiché, tutte, usavano molto l’azione delle anche. Questo è il modo con cui le altre arti entrarono nella mia vita”.

Io sapevo che Il sensei Suzuki aveva studiato lo zen e poiché questa è una materia che aveva catturato il mio personale interesse anni fa, gli ho chiesto come ciò è avvenuto e che tipo d’educazione avesse ricevuto. Ha affermato che era sempre stato interessato alle vite dei grandi artisti marziali giapponesi del passato.

Fin dai primi giorni aveva cercato libri e letto tutto ciò che aveva potuto in riguardo al modo in cui trascorsero le loro esistenze. Ha appreso che la gran parte di loro aveva studiato lo zen e così ha deciso che avrebbe fatto la stessa cosa.

Nel periodo universitario, il sensei Suzuki era stato segretario di uno dei club wado ryu. Il patrocinatore di questo club era il sig. Tanaka, che era un uomo molto famoso in Giappone a quel tempo. Lui stesso era attratto dallo Zen e ha studiato sotto la guida di Gempo Yamamoto, uno dei più conosciuti monaci di quell’epoca. Il sig. Tanaka ha presentato il giovane Suzuki al monaco che, a sua volta, lo ha presentato al suo miglior discepolo, Soyen Nakagawa. Suzuki sensei ha iniziato a raccontare la storia.

“ A volte, portavo alcuni dei miei studenti di karate al tempio chiamato Ryutaku-ji. Molti anni prima, un maestro di Kendo (la via della spada) molto famoso era solito allenarsi nelle proprietà del tempio. Vi racconterò una storia che lo riguarda. Un giorno un suo rivale, che era molto forte e che era stato battuto solo una volta, arrivò nel distretto. Il maestro che si allenava al monastero di Ryutaku-ji, voleva sfidare e battere il rivale, ma sapeva che non avrebbe potuto batterlo solo con la tecnica; aveva bisogno di qualcosa di più. Era necessario un certo tipo d’allenamento mentale. A quel tempo, Ryutaku-ji era anche la casa di un monaco famoso ed il nostro eroe decise che doveva andare la per cercare di incontrarlo. Stava vivendo a Mushima, una piccola città ad una certa distanza da lì. Così ogni notte cavalcava con il suo cavallo fino al monastero, studiava zen, e poi tornava cavalcando a casa. Fece questo per lungo tempo, notte dopo notte, ogni notte. Il viaggiare costantemente era duro per lui, ma lo fece lo stesso. Alla fine, un giorno, ottenne l’illuminazione (satori)”.

Dopo quell’esperienza perse ogni timore verso il rivale. Sapeva nella sua mente che lo poteva battere. Un giorno i due uomini s’incontrarono ed il nostro eroe sfidò il rivale a duello. Lo sfidato guardò al suo sfidante e sentiva nelle ossa che aveva già perso. Egli fu consapevole di questo. Questo è Zen. Questo tipo di pensiero è molto importante in tutte le arti marziali e questo è il motivo per il quale ho voluto studiarlo”.

Ho indagato se anche Ohtsuka sensei si era avvicinato allo zen, ma, in accordo con quanto affermato da sensei Suzuki, Ohtsuka non lo ha praticato. Il sensei Ohtsuka non era per nulla interessato da questo. Nei suoi ultimi anni, tuttavia, ha consigliato ai suoi studenti di studiare l’Ochaku zen. Questo è un termine usato per descrivere semplice pratica. Ci si distende sulla schiena e si chiudono gli occhi, dopodichè s’inizia meditare. La gente chiama questo sistema lo zen dell’uomo pigro.

Nel riflettere su questo consiglio del suo sensei, Sensei Suzuki si è meravigliato del fatto che il primo avesse più conoscenze sulla meditazione zen di quanto chiunque avrebbe potuto pensare. Più pensava a questo, più convinto diventava che questo era probabilmente vero. Gli chiesi se insegnasse ai suoi studenti qualcosa di meditazione zen. Ha affermato che lo faceva occasionalmente. Ha spiegato:

“E’ un po’ difficile insegnare zen in solo una o due lezioni.  Durante l’insegnamento in un gasshaku (allenamento intensivo) o in un campo scuola dove si sta insieme per una settimana o anche più a lungo, è possibile fare qualcosa. In un tempo limitato non è possibile portare gli studenti a comprendere più di tanto. Per trovare qualsiasi tipo di significato nelle pratica dello Zen è necessario farne esperienza personalmente, tramite introspezione in se stessi.”.

Penso di aver capito cosa sensei Suzuki stava dicendo. Forse questo dipende dal fatto che lo Zen e le arti marziali sono stati sempre assimilati tra loro. Entrambe le discipline devono essere sperimentate per essere apprezzate.

“Lo Zen”, ha detto Suzuki sensei, “è proprio come il karate nel senso che sono entrambi processi mentali che dovrebbero essere praticati ogni giorno. Una volta che hai iniziato è molto importante continuare”.

L’idea che il karate, come lo Zen, è un allenamento mentale, è venuto fuori, un po’ per volta, nel corso della nostra conversazione pomeridiana. Il sensei Suzuki era prodigo di piccoli insegnamenti che avevano l’effetto di farti pensare aldilà dell’ovvio. Per esempio, ha raccontato che, durante un allenamento, in una sala gremita di partecipanti, ha fatto sedere a terra tutti quanti ed ha chiesto loro chi potesse attraversare una tavola di legno lunga sei piedi e larga un piede. Senza esitazioni tutti hanno alzato la mano. Ha chiesto quanti potevano farlo se la tavola fosse a due piedi da terra. Ognuno era in grado di farlo. Ha domandato poi se potessero farlo con la tavola a cento piedi dal suolo. A questo punto nessuno era in grado di dire se avesse potuto farlo.

Egli utilizzava quest’esempio per mostrare come la mente spesso crea limiti al corpo e di come il corpo potrebbe superare se stesso solo se la mente diventasse più forte. Dopo di tutto, nell’esempio che ha citato, la dimensione della tavola non era cambiata; solo la distanza dal pavimento era variata.

“ Pensare a cose come queste e praticare Karate ogni giorno è molto importante. Una famosa ballerina ha affermato che se non si esercitava per un giorno, poteva sentire la differenza nel suo corpo. Il suo partner poteva sentire la differenza se non praticava per due giorni. I suoi spettatori potevano sentirlo se non praticava per tre giorni. Ha sostenutoto che questo accadeva perché doveva praticare ogni giorno ed anche io mi sento in questo modo”.

Ai nostri giorni, Suzuki sensei sente che l’insegnamento è un compito più semplice rispetto a com’era una volta.

Negli ultimi trenta anni, da quando ha lasciato il Giappone la prima volta, per visitare l’occidente, ha confessato che spesso sentiva di dover “impressionare” un po’. Alla domanda sul perchè si fosse manifestata quest’esigenza, ha risposto che, in quei giorni, quando il karate era relativamente nuovo in occidente, le persone cercavano qualcosa che le impressionasse.

Per questa ragione, gli insegnanti che venivano in visita davano spettacolari dimostrazioni di tecniche da combattimento contro un attacco di coltello o di sedia. In uno strano modo, questo significa che, lui stesso, è stato obbligato ad allenarsi molto più duramente per evitare di deludere le persone.

Oggi, che le persone di tutto il mondo comprendono di più il karate, non sente più la necessità di impressionare. Ora può aiutare le persone a sviluppare il loro carattere allo stesso modo delle tecniche di karate e condivide con i suoi studenti la propria filosofia. Il suo proposito di preservare una tecnica corretta, tuttavia, rimane tanto elevato quanto l’impegno nell’allenamento personale. Gli ho chiesto, in ragione dei suoi frequenti viaggi in giro per il mondo, se aveva avuto riscontro del fatto che il karate sviluppava davvero il carattere (natura o indole delle persone – N.d.T.) tanto quanto la tecnica e se lo sviluppo del carattere era diventato un elemento più rilevante. Egli disse:

“Tu sai che tutto dipende da chi è l’istruttore. In genere, se l’istruttore ha un buon carattere allora anche gli studenti lo sviluppano, sempre che non ne possiedano già uno. Con il progredire del loro karate dovrebbe migliorare anche il loro carattere, se non l’hanno. Purtroppo, nella mia esperienza, istruttori con un cattivo carattere generano solo cattivi studenti. Ciò avviene perché la brava gente lascia questo tipo d’istruttori”.

Il sensei Suzuki, quando non insegna o non si allena, non si allontana mai dalle materie che sono state la prerogativa della sua vita negli ultimi cinquantacinque anni. Possiamo trovarlo in relax nella sua casa a sud di Londra a leggere ed approfondire diverse materie, ma forse non sorprende scoprire che è soprattutto appassionato nella lettura delle opere dei suoi pari conterranei di molto tempo fa. Come mi ha detto: “ La maggioranza di queste persone aveva delle filosofie molto valide”. Un’altra fonte di rilassamento, che predilige, è il gioco degli scacchi giapponesi. Nel caso in cui non è occupato nelle attività, già elencate, allora, possiamo scommettere con una certa sicurezza che sta vedendo un video di boxe della sua imponente collezione.

Egli ha osservato:

“La boxe mi piace veramente molto. Ho gran parte dei campioni del mondo in video e mi piace guardarli. Da questa gente si possono vedere diverse tecniche valide e realistiche.  Il pugilato ha sviluppato modalità molto efficaci per sferrare pugni; soprattutto perchè i pugili usano solo le mani. Credo che in alcuni casi i pugni della boxe sono migliori di quelli del karate. Un karateka potrebbe battere un pugile perché è in grado di calciare, ma se non potesse usare i calci allora l’avversario sarebbe molto più forte. Il pugilato ha una lunga storia, perciò ai giorni d’oggi ha molto da insegnare.”

Questo ha portato la nostra conversazione sull’augurio che il karate mondiale possa ottenere l’ammissione ai giochi olimpici. Mi domandavo se aveva qualche opinione in riguardo a ciò.

“ Credo che sia impossibile all’ottanta per cento. La ragione è che il Taekwondo si è già assicurato il posto ai giochi. Questo si deve in parte al direttore del Taekwondo mondiale che è un politico molto intelligente. E’ nella commissione olimpica e, come tu sai, ha manovrato per avere il suo sport incluso come disciplina dimostrativa, quando i giochi si svolsero a Seul. Furono esclusi da Atlanta, ma sono ritornati in Australia nel 2000”.

“ Per il pubblico è difficile differenziare il taekwondo dal karate stile WUKO. Penso, perciò, che sarà impossibile per il karate essere ammesso. Credo che la pubblicità al karate sarebbe stata una buona cosa se avessero dato la possibilità al karate di essere ammesso. Si sarebbero fatte le cose meglio di come sono ora. Inoltre i paesi avrebbero sostenuto le loro squadre di karate meglio di quanto fanno ora, perché la loro attenzione è rivolta principalmente agli sport olimpici piuttosto che a quelli che non lo sono. Viceversa se il karate fosse accettato alle Olimpiadi allora sempre più persone inizierebbero il karate solo come pratica sportiva. Il karate perderebbe il suo contenuto marziale, se questo accadesse, sarebbe una cosa negativa”.

Mentre il sensei Suzuki stava parlando, mi chiedevo come le cose si sarebbero sviluppate nel futuro. Il karate perderebbe il suo contenuto marziale a favore del balletto sportivo che vediamo oggi, nel caso in cui ottenesse l’ammissione nel più grande spettacolo sportivo che il mondo abbia mai conosciuto, come egli ha predetto.

Spero di non vedere mai il giorno in cui la gente metterà un Karate-gi (uniforme) con l’espresso desiderio solo di vincere una medaglia d’oro, sempre che ciò accada. Ritornando al discorso dell’allenamento personale chiesi se l’hojo-undo (esercitazioni complementari) giocassero un qualche ruolo nell’esercizio fisico dello stesso sensei Suzuki.

“Si. Penso che sia essenziale. I movimenti del Wado-ryu sembrano essere dei gesti molto leggeri con poca o nessuna potenza. Questa impressione dipende dal fatto che, quando esegui dei movimenti, devi essere rilassato. Nel momento in cui colpisci il tuo avversario, anche se devi esprimere potenza, devi essere rapido. Così l’allenamento complementare (Hojo-undo) è importante per sviluppare questa rapidità e tale potenza. Non bisogna, tuttavia, esagerare nell’allenamento con i pesi.

Il makiwara (tavola imbottita da colpire) è, inoltre, molto utile per costruire le braccia ed i polsi come pure per stabilire un buon equilibrio. Aiuta inoltre a sviluppare un pugno forte ed ad ottenere una buona focalizzazione del colpo”.

Negli ultimi mesi del 1991 quando condussi quest’intervista, sapevo che il sensei Suzuki aveva formato, di recente, una sua organizzazione mondiale. Ero interessato a sapere perché aveva fatto questo passo così tardi nella vita; perché lo aveva sentito necessario. Non fui sicuro, per un momento, di quale sarebbe stata la sua reazione alla mia domanda.

Ricordo che raggiunse il tavolo del caffé, sollevò la sua tazza e fece un’energica e rumorosa bevuta nel modo con cui i giapponesi si comportano per mostrare che si stanno divertendo. Tornò a sedersi sulla sua sedia e, dopo un momento d’attenta riflessione, iniziò a parlarmi.

“Come tu sai, dopo che il sensei Ohtsuka è morto, il wado ryu in Giappone si è diviso in due gruppi. Non mi piaceva quest’idea di due gruppi separati perché io ho sempre pensato alle persone del Wado ryu come fratelli e sorelle. Noi siamo tutti, in ultima analisi, allievi del sensei Ohtsuka. Io sono rimasto fedele al suo Wado ryu e sono sicuro che a lui stesso non sarebbe piaciuto vedere due gruppi separati come questi. Sono tornato spesso in Giappone per tentare di ricollegare i due gruppi, ma questo è stato vano.”.

“Io conosco i membri dirigenti di ciascun gruppo molto bene. Ad un certo punto ho anche pensato che sarei riuscito a riunirli, ma sono tornato in Inghilterra e subito dopo si sono separati di nuovo. In questo periodo ero veramente stanco della situazione. Ho creduto davvero che se fossi vissuto in Giappone avrei potuto farlo. Per come si sono messe le cose, però, penso che non ci sia alcuna possibilità di conciliazione perché stanno sempre a litigare tra loro.”

“Data la situazione, non posso unirmi con nessuno dei gruppi, poiché gli istruttori anziani dei due gruppi sono tutti più giovani di me. Solo io, mi sono allenato senza interruzione fin dai tempi del sensei Ohtsuka. In verità, gran parte di loro ha ricevuto i primi insegnamenti da me, pertanto nessuno dei gruppi ha l’esperienza che ho io. Penso che questa possa essere una ragione del perché continuano a cambiare i kata o i kihon-kumite (gruppi d’esercizi che coinvolgono una certa varietà di tecniche). In questa circostanza sono fermamente convinto in quello che chiamiamo Shu-Ha-Ri., che significa copiare esattamente, per poi  sviluppare e fare proprio, in terzo luogo distaccarsi e muoversi dall’origine.

Shu significa che ognuno deve fare un allenamento base, ricevuto dal proprio istruttore e farlo esattamente com’è insegnato.  Così sono sicuro che l’implicazione di ciò è che i kata di base ed i kumite del Wado-ryu devono rimanere come li ha insegnati il sensei Ohtsuka. Oggi giorno però le cose stanno cambiando continuamente. Perché?  Penso che questo avviene perché le persone promotrici dei cambiamenti non si sono allenate con Ohtsuka per un lungo periodo e pertanto non hanno pienamente assimilato i significati.

Io sono stato con lui tutto il tempo in cui si stava allenando al massimo delle sue capacità; che è, tra il 1950 fino a circa il 1965.

Durante questo periodo mi allenavo con lui quasi ogni giorno. Con l’avanzare dell’età non riusciva praticare certi movimenti nel modo che era solito fare nel passato, ma non cambiò le tecniche come tali”.

“Oggi, la maggioranza delle persone non può ricordare le sue vere tecniche e questa è un’altra ragione per cui ci sono tanti cambiamenti.

Le persone s’incontrano e discutono se le cose stavano in un modo o in un altro. Il termine Shu, però, riguarda il kihon, il kata ed il kumite.

Dovete mantenere pura la tecnica Wado-ryu.

Io ho il sospetto che, ora, sono il solo a fare questo.  Pochi anni fa, ho girato una serie di video e, per cortesia, ho invitato  gli istruttori anziani del Giappone a venire a vederli per darmi una loro opinione. Chiesi loro, chiaro e tondo, “ Cosa pensate ?” Dissero tutti che questa era pura tecnica e kata wado-ryu.  Queste persone sono incapaci di insegnare le stesse perché smisero in passato, in alcune occasioni, di allenarsi ed ora non conoscono quale siano le corrette esecuzioni. La sensazione che sento è forte, devo insegnare la tecnica wado-ryu nel modo che imparai dal mio maestro, nella sua forma pura”.

“Ai miei tempi con il sensei Ohtsuka mi allenavo molto duramente, come ho detto. Mi allenavo così duramente che le persone erano solite a darmi del pazzo. Qualche volta ero solito allenarmi fino a dieci ore al giorno. Come puoi vedere non sono molto alto o pesante e questo ha influenzato il mio pensiero. Mi è sembrato che, con la mia costituzione, se mi fossi allenato come qualsiasi altro non sarei stato mai niente di buono, mai avrei controbilanciato (la mia costituzione). Questo era il motivo per cui mi allenavo così duramente. E’ attraverso questo duro e disciplinato allenamento che il corpo conosce la giusta via per praticare il wado-ryu puro. Non è la mia mente che ricorda ma il mio corpo; il mio corpo in toto.

Altri stanno tentando di rievocare con la loro mente e questo è il motivo per cui sbagliano. Con me, però, c’è il mio corpo perché io ho ripetuto le tecniche più e più volte, e via così, tante volte. “

Ora, se appartenessi al tempo presente ad uno dei gruppi che si sono formati dopo la morte d’Ohtsuka sensei, e affermassi che le tecniche devono essere fatte “in un modo od in un altro”, qualche anziano sarebbe costretto a non essere d’accordo con me. Il risultato sarebbe che spenderemmo tutto il nostro tempo litigando sulle tecniche invece di allenarci. Non posso sprecare il tempo in discussioni come queste. Tuttavia se io sono indipendente posso insegnare ai miei studenti la tecnica wado-ryu pura. Questa perciò è la lunga spiegazione del perché ho formato un mio personale gruppo. Desidero rimanere leale al mio sensei ed all’idea di Shu”.

“Ho tenuto la cerimonia d’apertura per la mia associazione in Giappone. Uno degli istruttori anziani del wado-kai ( il più grande dei due gruppi in Giappone) venne e pronunciò un discorso nel quale disse: << io so che il sig. Suzuki è l’unico che conosce la pura tecnica Wado-ryu>>. Egli espresse l’auspicio di mantenere questa purezza, anche nel caso in cui l’associazione diventasse molto grande. Questo fa eco al mio stesso desiderio e alle mie motivazioni.”

Quando il sensei Suzuki venne a vivere ed insegnare in Inghilterra, si appoggiò in diversi luoghi per insegnare a Londra. Alla fine aprì un dojo a tempo pieno nella Marvich House a Fulham. Questo avvenne nel 1979. Purtroppo da questo momento molti dei suoi studenti si dedicarono a fare altre cose. Nonostante ciò il dojo ebbe molto successo. Molto spesso, visitatori dal Giappone venivano al dojo e chiedevano se potessero allenarsi la ed anche insegnare. A quel tempo la febbre delle arti marziali era in rapida ascesa nel Regno Unito come in generale nel mondo occidentale.

Furono necessarie più sessioni d’allenamento ed il Sensei Suzuki non riusciva a far fronte a tutte. Così occasionalmente permetteva ai visitatori di insegnare in alcune classi. Il permesso era concesso loro solo dopo aver combattuto con uno degli studenti anziani graduati nei Kyu. Questi sono gli studenti appena al disotto del livello di cintura nera. Suzuki sensei replicò: “ I miei studenti in Inghilterra avevano uno standard molto alto, perciò era sufficiente lasciare uno di questi studenti di basso livello a combattere con i visitatori. Ricordo che alcuni dei miei studenti sono diventati campioni del mondo”.

Ero interessato a sapere chi lui, al momento, considerava il suo studente più anziano. Replicò: “ C’é il sig. Kobayashi. Fu il mio assistente in Inghilterra per otto anni. Da quando è tornado in Giappone è diventato istruttore di karate nel club della Nihon University. Ha anche altri dojo. E’ molto leale e sono orgoglioso di lui. Sia la sua tecnica che il suo carattere sono validi. Questa combinazione è qualcosa di difficile da trovare. Poi c’è il sig.Furakawa che è il nostro segretario generale ed anche il sig. Nagasawa. Sono entrambi validi studenti. Ho anche alcuni studenti molto bravi in Australia ed in America, c’è un gruppo in Florida ed un altro in Venezuela. Un po’ di tempo fa gli studenti anziani di dodici paesi sono venuti in Giappone e hanno viaggiato insieme. Sono anche diventati amici tra loro !”

Da quando vivevo in Inghilterra ero a conoscenza di voci, circolate per anni, riguardo ad una possibile partenza del sensei Suzuki verso climi più caldi. Fino a quest’articolo egli era, per quanto ne potevo sapere, ancora residente a Londra. Gli ho chiesto di queste voci e cosa egli pensava riguardo a ciò.

Lui rispose.

“ Oh, si, mi piacerebbe molto andare e vivere in Australia. Il clima è buono ed anche le persone sono simpatiche. Ora però la mia situazione è questa. Sarebbe difficile per me viaggiare o per le persone venirmi a trovare se andassi in Australia. Sarebbe troppo lontano da qualsiasi altro posto. Dovrei inviare assistenti per insegnare in mia vece, ma vorrei persone per vedere la pura tecnica Wado-ryu. Questo significherebbe spendere più tempo con i miei migliori studenti pertanto, ancora una volta, comporterebbe molti viaggi per loro o per me.”.

Il tempo stava passando ed io dovevo concludere l’intervista. Volevo sapere se c’era qualche progetto per un libro. Il sensei Suzuki ha scritto diversi libri tecnici sul suo stile. Io pensavo più ad un libro sulla sua filosofia. Lo sollecitai all’idea di scrivere una biografia.

Egli rispose così: “Mm, è una buon’idea. Non avevo pensato a questo prima d’ora. Sì mi piacerebbe farlo, se potessi trovare un valido scrittore per un aiuto…. Puoi farlo tu se tu torni in Inghilterra e io ti suggerisco”. Non avendo progetti in riguardo al mio ritorno in Inghilterra in un futuro prossimo, ho ringraziato il sensei Suzuki per l’opportunità, poi ho espresso le mie riserve sulla possibilità di approfittare di tale invito. E’ ovvio che sia piacevole sentirselo proporre!

Suzuki sensei aggiunse: “Mm questa è una buona idea….Probabilmente dovrei farlo perché mi sono sempre interessato alla filosofia degli antichi samurai e dei monaci. Tu hai ragione sul fatto che dovrei farlo. Ci proverò un giorno.”

La mia domanda finale fu più che altro una richiesta. Speravo che egli terminasse l’intervista dando dei consigli a quelli di noi che ancora hanno molto da imparare. La sua risposta fu semplice ma profonda. Spesso noi studenti dimentichiamo o prestiamo scarsa attenzione ai fondamentali delle arti marziali che pratichiamo. Qualora ci comportassimo in questa maniera, rischieremmo di disperdere il bagaglio di benefici che la nostra pratica ci conferisce. Questa attitudine però deve iniziare fin dal primo giorno.

Di tutte le cose di cui, il sensei Suzuki, poteva parlare, questo è quanto ha suggerito:

“Primo, trovare un buon istruttore. Non potrete mai imparare un buon karate se non fate questo all’inizio. Inoltre, continuate ad allenarvi una volta che avete iniziato. Non dovete togliere tempo all’allenamento. Dovete andarci sempre e continuare a frequentare. Le persone che sono lente ad imparare cambieranno e riusciranno ad assimilare il karate anche loro, tanto di più quanto più a lungo continueranno ad allenarsi. Questo pertanto è il mio consiglio alle persone”.

Dopo di ciò, il nostro colloquio si concluse. Ero dispiaciuto che fosse finito. Avrei potuto passare tutto il giorno ad ascoltarlo. E’ una figura carismatica e per un uomo della sua età, a quel tempo sessantatre anni, il suo modo di fare mi ha lasciato un po’ in soggezione per la sua competenza. Il sensei Suzuki è indiscutibilmente bravo in quello che fa ed incontestabilmente competente nel suo Wado-ryu. (…….)

Tratto da: “Remembering with the Body – Tatsuo Suzuki’s Exploration of Pure Techniques” in  “Budo Masters – Paths to a Far Mountain” di Michael Clarke – Paul H. Crompton Ltd., London & New York 2000:(10-28).

Tatsuo Suzuki

KARATE-DO

di James Sidney

Il professor Tatsuo Suzuki è nato il 27 aprile 1928 a Yokohama ed è laureato in economia nell’università del Giappone. Ha iniziato la pratica del karate all’età di quattordici anni, ricevendo l’istruzione diretta del fondatore del karate Wado-ryu, dal 1945 al 1956. Nel 1951 gli fu riconosciuta la cintura nera quinto dan, a quel tempo il più alto grado riconosciuto nel Wado ryu, all’età di ventiquattro anni.

Dopo essersi trasferito in Inghilterra nel gennaio 1951 Suzuki fondò la prima federazione di karate wado-ryu del Regno Unito e rapidamente si diffuse in tutta Europa.

All’età di quarantacinque anni i risultati di Suzuki portarono l’International Budo Federation a riconoscergli il titolo di Hanshi. Oggi, più di quaranta paesi in Europa, Asia ed America sono inclusi nella Wado International Karate-do Federation (WIKF), fondata da Suzuki nel 1991 nello sforzo di preservare l’essenza del karate wado-ryu.

Il sensei Suzuki ha il grado di cintura nera nel Tenshin Koryo Bo-jutsu e nel judo, in aggiunta alla sua cintura nera Ottavo dan di Karate.

Ho incontrato il sensei Ohtsuka dopo l’ultima guerra mondiale nel quartier generale del Wado-ryu a Tokyo. Aveva circa cinquanta anni. A quel tempo Ohtsuka sensei non insegnava solamente, ma si allenava con noi. Durante i kata era solito stare in mezzo a noi. Il suo modo di parlare era molto gentile, ma il suo spirito era molto forte, come un vero samurai, perciò lo rispettavo veramente molto. Era così ammirevole, tecnicamente e mentalmente, che la mia ambizione è sempre stata diventare meglio di lui. Non mi sono mai paragonato a nessun altro, solo al sensei. Io lo consideravo un padre e lui mi trattava come un figlio.

Ero solito allenarmi con Ohtsuka ogni giorno. Una volta, quando aveva circa sessanta anni ed io mi ero appena laureato all’università, andai a lezione con un tempo veramente brutto. Ero l’unico studente presente. O-sensei mi diceva sempre di rilassarmi perché le mie spalle erano troppo contratte. Il mio karate era molto potente, ma non rilassato. Questa cosa non gli garbava molto; il wado è una miscela di rilassamento e rapidità. Era solito dirmi: “Le tue spalle sono troppo dure, troppo rigide. Rilassati”

Lo capivo con la ragione, ma fisicamente non riuscivo a farlo.

Il giorno che fummo solo due nel dojo, per questo motivo, m’insegnò un jodan tsuki di base, ed io lo praticai di continuo, su e giù per il pavimento per due ore. Solo quella tecnica. Iniziai molto contratto e tiravo i pugni tanto forte quanto potevo. Non appena cominciai a stancarmi, ovviamente, mi rilassai. Dopo tal esperienza, compresi un po’ meglio di prima come rilassare le mie spalle.

O-sensei è stato sempre molto buono con me. Sia da esempio quanto segue. Faceva parte dell’International Martial Arts Federation (IMAF). Era l’uomo al vertice della sezione di karate. Un giorno mi disse “Voglio proporti per farti riconoscere il titolo di Hanshi dall’IMAF”. Io gli risposi: “No, è troppo per me”. A quel tempo, infatti, solo O-sensei in Giappone e nessun altro istruttore giapponese era Hanshi.

Un giorno, nonostante tutto, mi ha consegnato un certificato ed una coppa d’argento da parte presidente della federazione, il quale era lo zio dell’imperatore, che mi nominava Hanshi. Ohtsuka sensei ha pagato ogni cosa e, pertanto, non ho potuto rifiutare.

In un’altra occasione quando ero uno studente universitario, il quinto dan era il grado più alto. Ero già terzo dan e pensavo che fosse sufficiente. Molti altri studenti mi spinsero a sostenere l’esame per il quarto. Erano soliti dire: “ Non possiamo presentarci per i dan se tu non prendi il quarto”. Io rispondevo: “No, no” ma alla fine decisi di fare l’esame per il quarto dan. Ricordo quel passaggio di grado all’Università di Tokyo, era una delle scuole più importanti. Alla fine, O-sensei affermò che ero quinto dan, non un quarto dan. Io risposi: “No, no, sensei, per cortesia datemi il quarto dan che è sufficiente”, perché il quinto dan era il massimo. Soli altri due o tre studenti erano quinto dan ed avevano quaranta o cinquanta anni. Io ero uno studente universitario. Per questo motivo dicevo: “No, questo è troppo. Per favore datemi il quarto dan”. Lui però aggiunse: “Tutti gli esaminatori sono concordi nell’attribuirti il quinto dan, quindi lo devi prendere”. Pertanto lo presi, ma con una certa inquietudine.

Io volevo solo allenarmi duramente. Io non ricordo neanche, quando ho preso il primo o il secondo dan, neanche il terzo, perché non ero interessato, mi allenavo e basta. Non ho mai pensato ai dan.

Ricordo solo il mio quinto dan a causa di ciò che è accaduto.

Così ora dico agli studenti: “Dovete allenarvi duramente. La classificazione in dan non è importante”. Gli occidentali però pensano sempre al dan che hanno. Questo è sbagliato. Bisogna dirglielo e occorre dimostrarglielo. Io mi sto ancora allenando. Qualcuno mi chiede: “Quando ti ritirerai in pensione?” Quando sarò morto. Mi chiedono perché continuo ad allenarmi. Pensano che sono sufficientemente bravo, perfetto. Questa è una domanda stupida. Devo fare molte cose. Devo continuare la pratica per tutta la vita. Naturalmente non ho praticato a sufficienza. Anche se praticassi un solo tipo di pugno in tutta la mia vita, non sarebbe abbastanza. Le persone pensano che dopo venti, venticinque, trenta anni d’età, la loro pratica finisca. Questa non è arte marziale. L’ arte marziale è una ricerca che dura tutta la vita. Le persone affermano: “ Oh, sono troppo vecchio, non posso allenarmi, ma è sbagliato. Non importa se hai quaranta o cinquanta anni, perché il karate non è solo allenamento fisico.  Puoi iniziare ad ogni età se ti alleni con spirito. Uno dei miei studenti in Inghilterra ha iniziato a cinquantacinque anni. E’ morto circa cinque anni fa a settantaquattro-settantacinque anni. E’ diventato quinto dan e ha insegnato ogni giorno in cinque club. Appena prima che morisse, sua moglie mi ha detto che si è alzato ed ha fatto i kata. Ha fatto quattro o cinque kata poi è deceduto. Il suo spirito era molto forte.

Circa dieci anni fa sono andato in Cina per osservare gli artisti marziali cinesi. Ogni giorno per due settimane, mattina e pomeriggio, ero solito scambiare tecniche e discuterne. Tutti erano concordi che il combattimento era solo una parte dell’allenamento delle arti marziali, non tutto. Oggigiorno però, in molti paesi, il karate è praticato solo per il combattimento. Questo è sbagliato. Le persone vogliono solo combattere nelle gare, di  queste, la maggioranza ha circa trenta anni. Prima dei trenta anni d’età l’essere umano ha molta resistenza. Dopo i trenta però, ogni anno la resistenza cala.  La resistenza cala anche con un duro allenamento.  Aggiungendo l’allenamento mentale a quello fisico, in pratica, se si allena lo spirito, si può migliorare a qualsiasi età. Questo è importante.

Oggigiorno le persone pensano solo al karate come sport; io non voglio confondermi con questa mentalità. Quello che è importante è lo spirito, non la tecnica.

Sia da esempio, quando ero uno studente universitario, spesso andavo a fare meditazione. Meditazione zen con Genpo Yamamoto e Soyen Nakagawa. L’addestramento era molto duro. A quel tempo mi allenavo dieci ore al giorno nel karate, qualcuno disse che il sig. Suzuki era pazzo, e dopo il karate ero solito andare a praticare Zen. Periodicamente c’erano dei corsi speciali chiamati sesshin che duravano una settimana intera. Tutto il giorno ci sedevamo e meditavamo solamente. Un’ora in seiza (meditazione seduta) e cinque minuti in kinhin (meditazione in movimento). Poi di nuovo. Dalle quattro del mattino fino alla mezzanotte, tutto il giorno. Era veramente, molto duro, più pesante del karate. Non ho mai conosciuto qualcosa di così duro. In ogni caso, questa pratica è molto utile per le arti marziali. E’ come l’idea di fudoshin. Fudoshin significa rimanere sempre calmi, senza dire mai nulla. In tal caso, anche se una grande roccia cadesse dal cielo e spappolasse il vostro corpo, non potrebbe schiacciare il vostro spirito. Questo è fudoshin.

C’è una storia del famoso spadaccino Miyamoto Musashi. Un giorno incontrò un generale e affermò che aveva visto nei suoi ranghi un samurai molto bravo, un vero samurai. Il generale gli chiese chi fosse questo e Minamoto sensei lo descrisse. Il generale, allora, chiamò il samurai nella stanza. Musashi Minamoto gli disse: “Il tuo generale vuole che tu faccia Seppuku (suicidio rituale); Subito”. Il viso del samurai non accennò una smorfia, disse solo, “Si, signore” e iniziò a prepararsi.

Musashi gli disse: “Fermati. Devo farti una domanda. Che tipo di addestramento speciale hai fatto ?” . “Nessun allenamento speciale” il samurai replicò “ ma una cosa. Ogni sera quando vado a letto appendo una Katana(spada) con una corda sottile dal soffitto appena sopra la mia gola”. All’inizio il samurai non poteva dormire perché aveva paura. Nel momento in cui ha accettato la katana sopra di lui, il samurai ha cominciato a dormire molto bene. Minamoto Musashi annuì e disse: “Si, questo è il motivo per cui tu non hai mai paura”.

C’è un’altra storia di un famoso artista marziale chiamato Yagyu Sekishusai. Egli pensava che la cosa più importante nelle arti marziali fosse avere un cuore impavido, senza paura. Per esempio, nel kendo, è usato il bambù durante gli allenamenti. Non accade nulla di grave se sei colpito. Con una lama vera, però, un semplice tocco potrà ferire; la sensazione, in tal caso, è differente.

Con una spada vera, un errore significa che potresti morire. Di fronte a vita o morte il timore è reale. Sviluppando un cuore impavido, però, l’allenamento nel dojo e ed il combattimento reale danno le stesse sensazioni. Questo sarebbe molto importante, ma la maggioranza delle persone, se si trovasse in uno scontro di spada reale, si comporterebbe differentemente a causa della paura.

Nel momento in cui gli studenti frequentano il mio dojo, l’atmosfera è differente, noi li incitiamo gridando o, qualche volta, percuotiamo le loro anche. Con l’allenamento perciò, il loro modo di fare cambia del tutto. I genitori rimangono molto sorpresi da questo. Praticando per lungo tempo, gli studenti poco alla volta cambiano. Questo è importante. All’inizio a loro non piace la severità. Rimanendo a lungo, però, lentamente cambieranno. Lungo il cammino molte cose si modificano, anche la personalità. Lo spirito, quando è allenato ed è diventato forte, influenza la persona in toto. Questo è un bene per la vita umana.

I partner si devono rispettare a vicenda. Di un avversario che mi colpisce, devo pensare sempre: “Oh, mi sta avvertendo. La mia parata è debole o il movimento del mio corpo è troppo piccolo, per questo che mi ha colpito. Grazie”. Questo è indicativo; il rispetto è importante. Oggigiorno le persone s’innervosiscono e rispondono al colpo.

Uno dei nostri dojokun è jujitsu ni oberezu. Significa che istruttori e studenti non sono sullo stesso livello. Nel caso in cui siete amici fuori del dojo, all’interno, durante la lezione, è differente. Questo è un comportamento da mantenere. Dovete allenarvi seriamente. Ai miei studenti dico: “Ichigo ichi e”. Questo termine viene dalla cerimonia del tè, ma è importante anche per le arti marziali. Significa che solo ora, in questo momento, tu sei con il tuo istruttore. L’istruttore potrebbe morire domani o lo studente potrebbe doversi trasferire. Bisogna sempre pensare che questa potrebbe essere l’ultima volta che ricevete l’insegnamento. Osservate accuratamente, allenatevi duramente, perché questa potrebbe essere l’ultima volta, e queste possono essere le ultime istruzioni.

Tratto da: “Tatsuo Suzuki- KARATE-DO” in The Warrior’s Path di James Sidney – Shambala Publications, Inc., Boston,USA 2003;(68-77)

Articolo reperibile in lingua originale anche sul web:

http://ejmas.com/tin/2004tin/tinart_sidney_0204.html